PERCHÉ ANDARE DALLO PSICOLOGO? POSSO FARCELA DA SOLO!
Ecco la situazione: hai un disagio, un malessere generalizzato o qualcosa di specifico, una questione, un pensiero che ti rende ansioso, insoddisfatto di te o della tua vita attuale, timoroso del futuro e chi più ne ha più ne metta e pensi che potrai venirne a capo e risolvere la situazione da sola o da solo…
Sai che ti dico? Potrebbe anche essere, tifo per te!
Sono convinto che ognuno di noi possiede tutte le risorse necessarie a mettere ordine alla propria vita e molte volte il lavoro che riusciamo a fare su di noi in autonomia è sufficiente, se non a cambiare, quantomeno a renderci consapevoli della necessità di un tale cambiamento.
Ognuno di noi, ogni giorno, si trova davanti a difficoltà e problemi vari che nella maggior parte dei casi è capace di risolvere o gestire da sola o da solo.
Talvolta invece no.
E nel dirlo non voglio convincere nessuno ad andare dallo psicologo: sono ben consapevole che per affrontare un percorso di psicoterapia è necessario esserne convinti, non è sufficiente che qualcuno lo sia per noi.
Parlando con una mia paziente mi è capito di fare questo ragionamento: se io avessi l’appendicite e non volessi farmi curare qualcuno potrebbe anche pensare di sedarmi e, contro la mia volontà, operarmi. La cosa non sarebbe etica, certamente, ma al netto della rilevanza penale del fatto o della mia volontà di essere curato o meno, beh, il mio problema sarebbe risolto.
In psicoterapia, purtroppo e per fortuna, questa cosa non è possibile.
Dico “purtroppo” perché se fosse possibile probabilmente significherebbe che le cose sono molto più semplici di come in realtà non sono: sappiamo poco di come funziona il nostro cervello. Cosa porta quegli impulsi elettrici che viaggiano attraverso i nostri neuroni e le nostre sinapsi a diventare un sogno, frustrazione, ansia per il futuro, amore o quell’irrefrenabile voglia di pizza? Siamo esseri complessi e il nostro sistema nervoso è complicato.
“Per fortuna” perché la motivazione è ciò che cementa il cambiamento e ci spinge a essere attenti a che le vecchie dinamiche che ci facevano soffrire non si ripetano: è bene infatti ricordarsi sempre che il percorso di psicoterapia non inizia con la prima seduta dallo psicoterapeuta bensì già quando siamo andati su Google per cercare di capire cosa ci stava succedendo, cercando poi qualcuno che potesse aiutarci.
E la ricerca d’aiuto, nel più ampio ventaglio della presa di coscienza del proprio stato di malessere, è proprio l’incipit di tutto: essa rappresenta un momento fondamentale di affermazione di sé e un atto coraggioso di messa in discussione e assunzione di responsabilità personali.
Troppo volte invece il rivolgersi a un professionista è vissuto come un fallimento nel non essere riusciti a farcela da soli. Ma sapete cosa? Può succedere.
Sulla homepage del mio sito ho scritto quelli che per me sono alcuni buoni motivi per iniziare un percorso di psicoterapia che vorrei qui analizzare più nel dettaglio.
1. “Perché quando la bussola della vita da sempre punta in una specifica direzione pensare di voltare la prua della nostra nave e dirigerci da un'altra parte può spaventarci”. Uso spesso la metafora della bussola perché storicamente è riconosciuta come una delle invenzioni cardine che ha permesso all’essere umano di esplorare il mondo. Se ci pensiamo però l’immagine della bussola rappresenta anche la certezza, la sicurezza che comunque vadano le cose ci sarà sempre un punto di riferimento in base al quale orientare le nostre decisioni, la nostra rotta.
Quando le cose però cominciano a non andare come pensavamo e la nostra vita prende una piega non voluta la cosa più difficile è mettere in discussione proprio quella nostra “bussola interiore” prendendo decisioni anche radicali che vadano contro le nostre più ferme convinzioni e sicurezze. E questo spaventa, cavolo se spaventa! È proprio per questo motivo che tante volte continuiamo a ripetere gli stessi errori: perché nonostante la sofferenza che ne consegue possiamo comunque continuare a percorrere una strada conosciuta piuttosto che lanciarci nella nebbia più fitta dell’incertezza di un futuro che non sappiamo cosa ci riserva.
2. “Perché cambiare e smettere di essere chi siamo (o chi gli altri vogliono che siamo) può farci sentire degli estranei a noi stessi”. Ognuno di noi, nella vita di tutti i giorni, indossa abiti diversi. Ora mentre scrivo per esempio io sto indossando la maschera dello specialista, del professionista, ma più tardi rientrando a casa passerò a trovare i miei genitori, e dunque sarò figlio, e poi sarò un partner per la mia compagna.
Quando tuttavia sono le dinamiche stesse che accompagnano l’assunzione di questi ruoli a determinare il nostro malessere, stare meglio significa anche ridefinire quei ruoli e il modo in cui li interpretiamo. E questo, appunto, può farci sentire estranei a noi stessi, ovvero può collidere con quel “senso di noi”, con l’identità che ci siamo costruiti fin dall’infanzia e che ci definisce innanzitutto ai nostri stessi occhi.
Avere un professionista insieme al quale “tenere insieme i pezzi” mentre si affronta un percorso di cambiamento può essere fondamentale.
3. “Perché ci sono aspetti di noi che richiedono un lavoro così profondo che non sempre siamo in grado, in questo momento della nostra vita, di fare da soli”. Delle volte la nostra sofferenza ha a che fare con elementi di noi che sono radicati profondamente nel nostro animo e possono riguardare ampie porzioni della nostra esistenza. Fare da soli un lavoro che scavi così a fondo è complesso soprattutto perché tante delle dinamiche che ci riguardano sono inconsce, sono automatismi che hanno cominciato a svilupparsi nell’infanzia, in particolare nelle relazioni primarie e che si sono cementati poi nel tempo per definire il nostro stile di funzionamento.
È come con un orologio: possiamo saperne leggere l’ora ma non avere idea degli ingranaggi contenuti al suo interno. Delle volte basta aprirlo per capire come funziona ma ci sono orologi così complicati che per comprenderne il funzionamento può esserci utile l’aiuto di un mastro orologiaio.
4. "Per conoscerci meglio e accettarci, ancora prima di volerci cambiare". Può sembrare un controsenso, a maggior ragione se detto da un professionista, ma ne sono convinto: l’obiettivo primario della psicoterapia non è il cambiamento.
Quello arriva, ma solo dopo che si sia sviluppata un’adeguata consapevolezza del modo in cui si funziona e che si siano accettati i nostri difetti e malfunzionamenti come parte di noi. Comprendere il messaggio che il nostro io interiore vuole trasmetterci attraverso la sofferenza e talvolta accettarsi così per come si è il prerequisito per ogni percorso di crescita. Altrimenti si rischierà sempre di voler essere qualcuno di diverso piuttosto che qualcuno di migliore.
Il problema, quando andiamo in giro a spaccare teste, non è il martello che abbiamo in mano. Quello in fondo è solo uno strumento. Sperare di scambiarlo con un seghetto non cambierà le cose: a quel punto è probabile che andremo in giro a segare teste. Il vero cambiamento avverrà nel momento in cui, riconoscendo l’uso disfunzionale che stiamo facendo di quel martello, decideremo di tenercelo insieme a tutti gli sforzi che abbiamo fatto per ottenerlo, per cominciare però a usarlo in maniera adeguata, per piantare chiodi e costruire case (o appendere fotografie al muro!).